A tutela del venditore, ma anche dell’acquirente, il sistema legislativo italiano prevede la possibilità, in alcuni casi, di poter annullare un contratto di compravendita di un immobile.
L’annullamento del contratto può essere richiesto dalla parte che ritiene siano stati violati i propri diritti e ciò può avvenire con modalità differenti a seconda dello stato in cui si trovano le trattative tra le due parti: quando è stata soltanto avanzata una proposta, oppure dopo la firma del preliminare (compromesso), oppure ancora dopo l’avvenuta stipula del contratto vero e proprio.
Vediamo di analizzare le diverse casistiche per capire insieme come e quando rescindere un contratto immobiliare.
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Motivi per cui si può richiedere l’annullamento del contratto
Quali sono, innanzitutto, i motivi per cui si può arrivare a voler annullare un contratto di compravendita immobiliare? Può capitare che una delle due controparti reputi che vi siano aspetti poco chiari, scorrettezze di qualche tipo, mancanze, inesattezze… insomma, che i conti non tornino e che quindi sia meglio non procedere. La legge prevede, in tal senso, delle azioni che vanno a tutelare tanto i venditori quanto gli acquirenti, e questo sia durante l’evolversi delle varie fasi della trattativa, sia quando il contratto vero e proprio è già stato stipulato: in quest’ultimo caso, si può arrivare alla revoca dell’atto notarile.
Si tratta, dunque, di capire fino a che punto le parti possano ritenersi tutelate e quali siano i presupposti necessari per poter usufruire di tali forme di tutela, differenti a seconda dello stato di avanzamento della trattativa.
Recesso da proposta di acquisto
Se la trattativa avviene per mezzo di un intermediario (agenzia immobiliare), di solito l’acquirente fa una proposta di acquisto consegnando un assegno a titolo di caparra. Tale proposta è irrevocabile per 14 giorni e il venditore, chiaramente, è libero di accettarla o meno. Se la proposta viene accolta, si entra più nel vivo della trattativa, anche se sostanzialmente non vi è ancora nulla di così vincolante per le parti.
Certo è che subentra la necessità di condurre “i giochi” avendo un comportamento adeguato e improntato su sani principi di correttezza e diligenza. Peraltro, molto dipende anche dagli accordi presi con l’agenzia immobiliare. Talvolta, ad esempio, il venditore si impegna al versamento della provvigione anche solo per il fatto che l’agenzia riesca a procurare un cliente: se poi il venditore, per motivi suoi, decide di ripensarci all’ultimo momento, questo non deve ricadere sull’operato dell’intermediario, che dovrà essere comunque retribuito. In altri casi, invece, si può prevedere che l’agenzia percepisca la propria percentuale soltanto una volta giunti al momento del rogito notarile.
Tornando al discorso della correttezza, se dopo la proposta di acquisto, accettata dal venditore, una delle due parti dovesse decidere improvvisamente di fare un passo indietro, danneggiando quindi l’altra parte, ormai convinta del buon esito della trattativa e che magari, nel frattempo, ha rinunciato ad altre occasioni, possono esserci i presupposti per poter richiedere un risarcimento del danno. Il recesso non viene consentito, ad esempio, se il venditore, per accogliere la proposta, nel frattempo ne ha rifiutate altre che potevano essere comunque interessanti, oppure nel caso in cui il compratore abbia nel frattempo trovato un potenziale acquirente per la casa in cui vive e che, contestualmente, deve per forza riuscire a vendere.
La responsabilità precontrattuale
Non sempre le trattative vengono portate avanti grazie al supporto di un’agenzia immobiliare o comunque di un intermediario del settore. Anche in questi casi, però, nascono determinate obbligazioni giuridiche tra le parti.
Durante le varie fasi della trattativa, ma in particolare dall’accettazione della proposta di acquisto in poi, le due controparti sono tenute a tenere un comportamento corretto, quel che si definisce comunemente “agire in buona fede”. Questo significa, per prima cosa, dover fornire tutte le informazioni utili alla controparte perché quest’ultima possa disporre di tutti i dati e gli elementi necessari per poter valutare serenamente se e come procedere.
Se le basilari regole di “buona fede” vengono violate, scatta la responsabilità precontrattuale che determina il diritto a richiedere un risarcimento dei danni. Per fare un esempio, scoprire ad un certo punto che la casa oggetto della trattativa è sottoposta a vincoli cui non si era fatto cenno, oppure che è abusiva o senza abitabilità, può senza dubbio costituire un buon motivo per bloccare tutto ed esigere un risarcimento.
Entro certi limiti, fin quando di fatto non si crea nelle parti un affidamento più che legittimo sull’imminente conclusione della trattativa, entrambe sono libere di recedere anche senza un motivo apparentemente valido.
Il discorso cambia quando la trattativa, invece, giunge ad uno stadio più avanzato: in tal caso, se il motivo non è più che valido e se, quindi, si va a violare il principio di “buona fede” di cui sopra, allora si può essere chiamati a risponderne attraverso un risarcimento.
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Contratto preliminare di compravendita: quando si può annullare?
Quando si giunge alla firma del compromesso, detto anche contratto preliminare, si instaura un vero e proprio vincolo giuridico dal quale è possibile recedere unicamente nel caso in cui sussistano motivi di un certo tipo.
Per fare un esempio, se il preliminare non indica la parte venditrice in maniera precisa e corretta (supponiamo un solo coniuge, quando in realtà la proprietà risulta di entrambi), oppure se il prezzo viene definito in funzione della metratura, ma in base ad un successivo controllo questa risulta essere inferiore, o comunque in molti altri casi in cui subentrino problematiche di questo genere, allora si può richiedere l’annullamento del compromesso.
Anche in caso di acquisto di un immobile in fase di costruzione può capitare un intoppo tale da rendere necessario tale annullamento: ad esempio, quando il costruttore non rilascia la fideiussione necessaria per legge a garanzia dell’acconto ricevuto.
L’annullamento del contratto vero e proprio (annullamento rogito)
In alcuni casi, può capitare che si creino i presupposti per chiedere la revoca dell’atto notarile, in pratica l’annullamento del contratto vero e proprio. In queste circostanze, l’atto resta comunque valido in attesa della sentenza del Giudice. La procedura per richiedere l’annullamento deve essere attivata entro determinate tempistiche (esiste un termine di prescrizione di 5 anni) e secondo precise modalità.
Le varie ipotesi di annullamento sono spiegate all’interno del Codice Civile, e sostanzialmente si riferiscono alle seguenti casistiche:
- Dolo e raggiro di una delle parti ai danni dell’altra, magari tacendo informazioni importanti.
- Violenza fisica o psicologica perpetrata ai danni della controparte, pur di giungere alla definizione del contratto.
- Errore scusabile e riconoscibile nell’individuazione del bene oggetto del contratto.
- Incapacità di intendere e volere di una delle due parti.
Nel Codice Civile sono presenti, inoltre, ulteriori precisazioni in merito alla natura dell’eventuale errore che può essere alla base della richiesta di annullamento del contratto di compravendita.
Questi medesimi requisiti, in linea di massima, sono anche gli stessi che devono sussistere nel caso in cui si voglia procedere con l’annullamento del contratto preliminare.
Se non si è in presenza di motivi più che validi, dunque, come abbiamo visto la parte “lesa” ha l’opportunità di disporre di alcune forme di tutela. Ad esempio, il venditore può trattenere la caparra oppure, nell’ipotesi contraria, l’acquirente può arrivare anche a chiedere il doppio della caparra versata. La risoluzione del contratto di compravendita definitivo, invece, avviene tramite decisione del Tribunale.
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